Dal Portogallo alla California fino alle gelide acque dell’Alaska i pescatori originari dell’isola di Marèttimo hanno saputo da sempre praticare “l’arte del pescare”. Oggi nel Museo del Mare delle Attività e Tradizioni Marinare e dell’Emigrazione gestito dall’Associazione CSRT “Marettimo”, sono custodite queste memorie.
E’ un museo piccolo, ma ricco di storia. La storia è raccontata dagli attrezzi che vi sono esposti, ormai in gran parte in disuso, che custodiscono tutta “l’arte del pescare” di questa gente di mare. Le foto, gli articoli, le pubblicazioni e i documentari fanno il resto: quel poco che serve per raccontare l’epopea di chi tra la fine del 1800 e i primi del 1900, cominciò ad emigrare per “terre assai luntane” come tanti fecero da tutta l’Italia e soprattutto dal meridione.
La gente di Marèttimo non ha fatto altro che seguire la rotta del pesce e quindi cominciò dapprima a spostarsi – anche a remi o a vela – nel Nord Africa (Biserta, Tripoli, Bengasi, Tunisi, Bona, Sfax furono le mete preferite), in Portogallo (Lisbona, Porto, Matosinhos, Lagos, Olhao) dove continuarono ad essere “mastri” nell’arte della salagione del pesce azzurro e successivamente in America. Per il nuovo continente, dove si insediarono più numerosi, frequentemente si imbarcavano clandestinamente su grossi bastimenti a vela e durante la traversata avevano modo di mostrare la loro perizia di naviganti, aiutando in coperta l’equipaggio. Sbarcavano nei pressi di New York, a Ellis Island, dove per qualche mese si adattavano a fare qualsiasi lavoro. Alcuni proseguirono per Milwaukee vicino Chicago e lavorarono a scaricare carbone, legna, travi dei binari dai vagoni dei treni merce, con l’obiettivo di mettere qualche dollaro da parte per acquistare una barca e riprendere l’attività di pescatore in California, da dove giungeva voce che la comunità proveniente dal palermitano stava pescando tonnellate di pesce azzurro.
Arrivati in California, i primi emigranti furono raggiunti dai familiari e così nacquero le comunità di Monterey, San Francisco, e San Pedro, vicino Los Angeles, dove ancora oggi sono vive usanze e tradizioni dell’isola di origine. Negli anni trenta ci fu l’inizio della mitica stagione della pesca delle sardine. Nel giro di pochi anni la baia di Monterey divenne il primo porto peschereccio americano. I mari di quella costa erano solcati da pescherecci con nomi come “Marèttimo”, “New Marèttimo”, F.lli Aliotti, “El Capitan”, “Diana”, e tanti altri appartenenti a pescatori di Marèttimo con i relativi equipaggi. Negli anni, questi “Omini Assulo”, così chiamati in quanto senza la propria famiglia, iniziarono a chiamare a se mogli e figli, anche grazie all’apertura nella costa di Monterey delle prime industrie del pesce in scatola che richiedevano tanta manodopera, le famose Cannery Row descritte nei romanzi dello scrittore americano John Steinbech.
In seguito iniziarono a navigare dalla California all’Alaska a vela, e in cinquanta giorni di navigazione raggiungevano Anchorage per la mitica pesca del salmone. Con quaranta giorni di pesca riuscivano ad assicurarsi il guadagno di un intero anno. Alcuni ritornarono a Marèttimo, altri si stabilirono definitivamente in California, dove la loro abilità di pescatori ne fece personaggi di spicco nell’importante mercato ittico americano.
Come nel caso sopra indicato dell’ideazione della mostra “Di qua e di là dal mare”, anche la fondazione del Museo del Mare nasce da una sentita esigenza di tutela e valorizzazione della MEMORIA DELLA comunità di Marèttimo. La nascita del museo rappresenta, infatti, un elemento di contrasto alla perdita d’identità dell’isola, dove l’attività tradizionale di pesca sta sempre più scomparendo a causa dell’impoverimento del mare oltre che dall’accresciuto benessere di molti locali che soprattutto nei decenni scorsi, essendosi trasferiti nella vicina Trapani, hanno intrapreso altre attività, spesso nel terziario. Oggi sono rimaste soltanto 13 imprese di pesca, che coinvolgono circa 25 soggetti. Dato allarmante se raffrontato con il passato. Alla fine degli anni sessanta, infatti, erano più di 30 le imbarcazioni adibite alla pesca, e qualche centinaio gli addetti. Oggi al Museo del Mare, delle Attività e Tradizioni Marinare e dell’Emigrazione vi sono attrezzi che testimoniano le fatiche, i sacrifici ma anche l’enorme abilità dei pescatori di Marèttimo, cresciuti a “pane e remi”, abituati da sempre alla difficile vita del pescatore, che assume caratteri del tutto peculiari in un’isola tanto fuori mano.
La specificità dei nostri pescatori risiede nel fatto che ancora adesso praticano esclusivamente l’attività con attrezzi artigianali, così come sono formalmente definiti dalla normativa di settore. Piccole reti da posta, “mbardate”, il tremaglio, le nasse in giunco e rami di olivastro o lentisco, o il “tartarune” che vengono quotidianamente tenute in ordine dai pescatori che riparano le reti così come hanno appreso dai loro genitori. Tuttavia alcune tecniche sono state abbandonate, perché non più convenienti e superate anche dall’avanzamento tecnologico. Con il museo si stanno inventariando tutti gli strumenti un tempo utilizzati, dando la possibilità al visitatore di apprezzare e condividere le capacità, gli sforzi, la tenacia di questi pescatori. Il museo quindi non è solo un semplice contenitore di “cultura”, ma anche luogo di memoria storica condivisa della comunità.